Rischio idrogeologico
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Che le Alpi Apuane fossero una zona soggetta a dissesti, in occasione di forti piogge concentrate in poche ore, è cosa conosciuta da tempo. Un'ampia letteratura sull'argomento riporta questa antica acquisizione e i dati che la sorreggono. Già si è letto, in termini spesso generali, sulla notevole acclività dei versanti e sull'instabilità delle coltri detritiche come fattori, diffusi in zona, di rischio idrogeologico. Del tutto trascurata è stata invece l'analisi dei rapporti tra dissesti e condizione dei soprassuoli, con la puntuale valutazione della loro effettiva capacità di contenere la degradazione meteorica del rilievo.
Lo studio in parola - valutando le diverse risposte di vari luoghi e situazioni all'impatto con un evento limite - ha consentito di confrontare, oltre il piano teorico, il ruolo giocato nell'occasione da nuovi e vecchi fattori di rischio idrogeologico. Ovviamente, sono stati qui presi in considerazione soprattutto i “dissesti areali”, coinvolgenti i versanti, facendo recitare un ruolo marginale agli eventi erosivi “lineari”, particolarmente frequenti lungo le tracce dendritiche, di vario ordine, dei reticoli idrografici del torrente Cardoso e della Tùrrite di Gallicano.
Per una disamina più organica possibile dei fattori di rischio idrogeologico, conviene affrontare la questione per punti. Nel successivo paragrafo, sarà offerta una sintesi valutativa, che consenta di superare la frammentazione analitica del seguente articolato:
a) acclività dei versanti
La sovrapposizione tra la “carta delle pendenze” e la distribuzione dei dissesti convince sulla relatività (o comunque sul ruolo non primario) di questo fattore nell'innescare fenomeni franosi di versante, soprattutto a danno della coltre detritica. L'area considerata è molto acclive e, salvo limitatissime porzioni, è interessata da pendenze superiori al 30 %.
Il ruolo giocato da questo fattore risulta già ridimensionato dal fatto che, malgrado le forti inclinazioni e la portata dell'evento, sono ancora rintracciabili vaste superfici di territorio rimaste immuni da frane di versante. Tuttavia, se ci si sposta sopra terreni a pendenza più accentuata, cresce moderatamente il numero dei dissesti cartografati. A titolo di conferma, si riporta il dato della presenza - nella fascia di acclività compresa tra il 31 e il 50 % - di ben il 41,3 % del totale delle “frane di scivolamento”; da confrontare con il valore del 58,7 % degli analoghi dissesti originatisi nella classe di pendenza superiore: quella tra il 51 e il 70 %.
Per una valutazione puntuale di questi dati va precisato che la fascia di acclività “31-50” è presente sul 55% del territorio, mentre quella “51-70” insiste sul 38% dell'area in studio (va specificato che tutti questi dati - per una migliore confrontabilità e rilievo numerico - si riferiscono all'area ristretta di studio).
L'acclività dei versanti” è, in sintesi, un fattore diffuso e, in ogni caso, necessario per lo spostamento gravitativo delle masse franose. Esso non ha, per altro, un effetto qualitativo e selettivo di particolare rilevanza, benché non vada del tutto sottovalutato il suo ruolo.
b) forma dei versanti
La verifica “a terra” del complesso dell'area dissestata, nella zona di Cardoso, Mulina e Fornovolasco, ha posto in evidenza come numerose erosioni areali abbiamo avuto comunque origine in zone caratterizzate da accenni, quasi impercettibili, di interfluvio. Si tratta di luoghi, posti lungo versanti appena incisi, normalmente non interessati da scorrimento di acque superficiali e spesso neppure evidenziabili sulle carte topografiche di dettaglio.
Non è il caso di parlare d'ordine primo del ramo corrispondente della rete idrografica, quanto piuttosto a tracce embrionali di evoluzione della stessa, che prefigurano situazioni future di maggiore complessità. Ciò assume un particolare significato al di sopra di susbstrati impermeabili, di norma più disponibili allo sviluppo del reticolo, in cui è già elevata la frequenza areale dei segmenti fluviali. In altre parole, è come se l'evento del 19 giugno abbia, in certi luoghi, accelerato di colpo l'andamento evolutivo normale e progressivo della forma dei versanti, giocando sulla fittezza della rete idrografica, stante l'entità della forza erosiva in gioco.
Questo fattore, di difficile valutazione complessiva ed areale, ha avuto un'importanza soprattutto puntuale, nel determinare singoli dissesti idrogeologici. La forma dei versanti è stata associata ad altri fattori e principalmente nei due che seguono.
c) diffusione di substrati impermeabili
La zona di Cardoso, Mulina e Fornovolasco annovera un largo spettro di formazioni rocciose a differente tipo e grado di permeabilità. Generalizzando, si può facilmente osservare come la porzione considerata di bacino idrografico della Tùrrite di Gallicano sia prevalentemente interessata da substrati calcarei e comunque dotati di permeabilità secondaria crescente, di grado da buono ad elevato. Al contrario, gran parte del bacino dei Torrenti Cardoso e Mulina si estende su rocce (pseudomacigno, micascisti, filladi, ecc.) contraddistinte da condizioni di pressoché totale impermeabilità. Il rischio idrogeologico dei substrati non permeabili si gioca tutto nel mancato assorbimento idrico della roccia madre, nell'occasione di copiose precipitazioni, da cui un'infiltrazione e percolazione obbligata di acque meteoriche all'interno dei suoli. La fluidificazione per imbibizione risulta così facilitata, di modo che la coltre detritica può raggiungere più facilmente condizioni di instabilità rispetto a quanto avviene al di sopra di substrati calcarei, notevolmente assorbenti. Probabilmente, l'impermeabilità dei substrati si è palesato come fattore più rilevante, almeno su vasta scala, nella genesi dei dissesti del 19 giugno. Basterebbe infatti osservare il numero e la distribuzione delle frane al di sopra di Cardoso in confronto a Fornovolasco per aver l'esatta percezione di ciò. Se la porzione di bacino della Tùrrite di Gallicano risulta appena scalfito da alcuni e radi dissesti, quello del torrente di Cardoso (e in misura appena inferiore in quello delle Mulina) appare invece devastato e sconvolto lungo tutto lo sviluppo del reticolo idrografico. La differenza tra queste due valli non la determina l'acclività o il tipo di soprassuolo (se preso in termini qualitativi), ma il tipo di substrato litoide e, per derivazione, la loro diversa permeabilità.
d) giacitura a “franapoggio”
Gli esiti tettonici dell'area, su cui si modella spesso la morfologia fluviale dei fondovalle, propongono di frequente situazioni, lungo i versanti, con giacitura a “franapoggio” per stratificazione e/o scistosità di diverse formazioni rocciose (prima fra tutte lo pseudomacigno). Tali situazioni hanno rilievo soprattutto su piccola scala, come fattore puntuale d'innesco di fenomeni franosi, principalmente se associato alla presenza di substrati impermeabili.
Il modello più tipico di dissesto di versante è quello che ha visto - con le ingenti piogge dell'evento limite del 19 giugno - imbibirsi i terreni oltre il possibile, con la conseguente loro fluidificazione e/o scorrimento gravitativo in basso, grazie alla lubrificazione dell'interfaccia inclinato (posto qui a “franapoggio”) tra substrato roccioso impermeabile e coltre detritica instabile soprastante.
Nello studio sull'area di Cardoso, Mulina e Fornovolasco non è stata prodotta una carta strutturale, principalmente per l'ampia scala di definizione del lavoro, tendente soprattutto ad una visione complessiva, areale e di sintesi, piuttosto che ad un'analisi di dettaglio sui singoli dissesti, a cui tale strumento offrirebbe altrimenti un supporto conoscitivo determinante.
e) differente profondità della coltre detritica
Fattore di indubbio valore, per la verifica della stabilità dei versanti e la valutazione del rischio idrogeologico, è spesso la differente profondità della coltre detritica nelle varie situazioni locali. Alla prova dei fatti però, questo potenziale fattore si è rivelato di trascurabile importanza, in considerazione della relativa omogeneità dello spessore dei suoli dissestati in tutto il territorio sottoposto a studio.
Sui substrati calcarei, anche ricoperti da vegetazione boschiva, la coltre detritica raggiunge qui profondità contenute, quasi mai superiori al metro, scendendo a pochi decimetri nei litosuoli. A chi osserva ancora in questi valori variazioni significative di profondità, si ricorda che tali terreni non hanno poi evidenziato una significativa diffusione di fenomeni di instabilità. In effetti, quasi tutti i dissesti si sono posti al di sopra di substrati silicei impermeabili, in cui i processi pedogenetici hanno prodotto coltri detritiche della potenza media variabile tra i 50 e i 120 cm.
La modesta escursione nei valori annulla l'effetto pratico di tale fattore, residuando la sua incidenza in situazioni del tutto puntuali, magari ad adiuvandum l'innesco di alcuni fenomeni di dissesto.
f) presenza di formazioni boschive “artificiali”
E questo un fattore di instabilità oltre modo complesso e di frequente ignorato per l'intrinseca difficoltà ad essere ponderato correttamente, stante l'elevato numero di variabili che vi entrano in gioco. In termini generali, lo si può assumere come fattore potenzialmente capace di contribuire alla diffusione, in larga scala, dei dissesti idrogeologici (o, comunque, a non contenerli più di tanto). In effetti, la presenza di formazioni boschive “artificiali” - in questo caso soprattutto castagneti - è di per sé indizio di minore difesa, rispetto ai boschi spontanei, nei confronti dell'erosione idrica superficiale, del contenimento delle portate solide dei corsi d'acqua, della capacità di regimazione dei deflussi idrici e, più in generale, per il contributo effettivo alla stabilità dei versanti.
Tuttavia, il fattore “presenza di formazioni boschive artificiali” non è stato determinante, al pari della “permeabilità dei substrati”, nella diffusione dei fenomeni franosi, benché vi abbia contribuito in una misura comunque non trascurabile. Prova ne è, dal confronto tra carta dei dissesti e carta forestale (o quella vegetazionale), la notevole estensione di frane nei castagneti su pseudomacigno (Cardoso), rispetto alla più limitata diffusione di questi fenomeni in analoghe formazioni vegetazionali su calcare (Fornovolasco). Conferma indiretta di ciò si ricava pure da una qualche insorgenza di dissesti nei carpineti (o comunque nei boschi misti) vegetanti su substrato siliceo impermeabile, rispetto alla mancanza quasi assoluta in quelli localizzati su substrato carbonatico.