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È una mostra di frutti
raccolti durante l'ultima stagione dell'anno, per far vedere e far
toccare a tutti l'importanza della conservazione delle cultivar antiche
e locali. Alcune delle piante più caratteristiche della tradizione
agro-alimentare delle Alpi Apuane sono state così poste in visione, con
quella loro parte "più utile e dilettevole" - il frutto, appunto - su
cui la scienza agronomica del passato ha giocato un ruolo selettivo
assoluto, esaltando così le differenze e le peculiarità.
I campi di Bosa hanno da sempre ospitato alberi ed arbusti dai "frutti
dimenticati", pressoché introvabili nei mercati ortofrutticoli di oggi e
sulle nostre tavole. La mela Casciana e la ciliegia Marchiana
preesistevano al "Centro" agricolo-naturalistico e, accantonate in
questo paesaggio d'altri tempi, sono giunte fino a noi per essere
riscoperte e riassaporate.
Il Parco ha aggiunto rarità alle rarità già presenti a Bosa, ampliando
di anno in anno le collezioni di specie annuali e perenni, con esempi
notevoli della straordinaria ricchezza soprattutto pomologica della
Terra di Garfagnana.
Basta uscire dalle case del "Centro" e percorrere i
terrazzi e i ciglioni erbosi che guardano la Tambura e il Sumbra, per attraversare
le sale aperte di un museo vivente: per fermarsi un poco tra il melo
Belfiore e quello Usuraio, tra il pero Zucchero e
quello Verdino.
La mostra ha raccontato molto di Bosa e della sua vera missione. Ha
soprattutto insegnato come la tutela della biodiversità non si fermi sul
limite dei campi e degli orti, dopo aver percorso chilometri di natura
spontanea ed abbracciato cime e pareti rocciose, praterie e boschi.
Anche gli antichi susini, le vecchie viti di montagna e il formenton
addomesticato ai magri pianori terrazzati, entrano di diritto nel
lunghissimo elenco delle varietà di forme viventi da conservare per le
future generazioni.
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