Dopo l’alluvione…
dopo la paura…
Quando raccontiamo l’alluvione del 1996 in Versilia e Garfagnana non
sappiamo bene come definirla: “disastro” o “catastrofe”?. Qualcuno ha
risolto il problema usando entrambi i termini, poiché ritenuti sinonimi
perfetti. Eppure, il confronto tra i loro significati corretti evidenzia
alcune differenze, sia nella forza distruttiva verso cose e persone,
così come negli effetti e nelle reazioni indotte all’interno delle
comunità umane. La catastrofe è la devastazione pressoché totale che
annienta o piega luoghi e individui per sempre o per molto tempo; il
disastro è ancora un evento improvviso e distruttivo, ma che consente a
comunità, famiglie e persone di ricostruire il loro domani, dopo una
prima fase drammatica e sconvolgente.
In
questi termini, l’alluvione del 1996 è stata più un disastro che una
catastrofe. La maggiore differenza l’ha fatta il post-alluvione, che è
divenuto un modello di ricostruzione non solo di case, strade e ponti,
ma soprattutto di solidarietà, rapporti umani e comportamenti
collettivi. Le antiche comunità di Cardoso e dintorni sono rimaste negli
stessi luoghi della tragedia, dove vivevano da secoli e dove hanno
lentamente ricostituito, dopo l’alluvione, il loro tessuto connettivo.
Un
disastro è dunque un evento vissuto a livello di popolazione, che
continua nei volti e nei gesti delle persone oltre il momento della
distruzione, passando dal negativo al positivo, dall’emergenza al
quotidiano. È un fenomeno collettivo che coinvolge le comunità e
modifica, in modo più o meno profondo, la fisiologia dei raggruppamenti
umani, delle famiglie e dei singoli individui.
Se il
volto è lo specchio dell’animo umano, solo la fotografia può fissarne il
dolore o la speranza, a seconda del tempo trascorso dal disastro. La
fotografia ha anche il potere unico di narrare la storia di una terra
ferita attraverso le sembianze e le pose dei suoi abitanti.
Per
questi motivi Joakim Kocjancic ha raccolto le immagini di una comunità
ritrovata venti anni dopo l’alluvione e forse divenuta, col tempo, più
consapevole dei rischi ancora presenti. Le pagine del suo libro mostrano
gli sguardi di persone temprate dall’esperienza, con qualche segno di
tristezza negli occhi di alcuni di loro. Le foto in bianco e nero, con i
bordi sfuocati, ci danno un senso di luogo senza tempo o forse di un
tempo sospeso tra questo e l’altro secolo. È sicuramente il primo volume
sull’alluvione del 1996 senza immagini di distruzione e di
ricostruzione. Non ci sono le storie di quei giorni, ma il ricordo
finalmente sollevato di molti anni dopo.
L’alluvione è un disastro che spesso le persone dimenticano più o meno
velocemente dopo la ricostruzione. La sua bassa probabilità di ripetersi
a breve produce un conflitto tra due strategie adattative inconciliabili
della specie umana. Durante l’evento estremo prevale la paura, perché
l’uomo sopravvive grazie alla percezione del terrore e al suo istinto di
conservazione. Tuttavia, questa paura va poi dimenticata nel prosieguo
della vita di tutti i giorni, poiché l’uomo non può sempre vivere nel
terrore.
Il
ricordo del disastro subisce un processo di repressione o diminuzione di
intensità nel tempo. Anche gli eventi più laceranti sono assorbiti in
non molti anni: lo “spettacolo (della vita) deve andare avanti”.
Dopo
qualsiasi disastro, il problema è sempre lo stesso: conservare la
memoria di quanto accaduto. Non è soltanto un problema di cultura
storica o di celebrazione di un evento rilevante e drammatico per
stringere i legami di una comunità. La conoscenza del passato e le
competenze sono soprattutto utili a costruire comunità più resilienti
per rispondere ai potenziali pericoli geologici.
Limitarsi al solo ricordo dell’evento distruttivo è sbagliato, poiché le
immagini di terrore e disperazione tendono ad essere rimosse dalla mente
umana o a permanere in una sfera di incubo o sogno irreale. C’è anche
bisogno di immagini positive e di momenti di reazione collettiva, non
troppo distaccati dall’alluvione, ma conseguenti, per rendere il
disastro un mostro vincibile.
Il
libro fotografico di Joakim Kocjancic può servire anche a questo fine…
Alessia Amorfini e Antonio Bartelletti (*)
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