Capanne e case d'alpe

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Resti di una struttura adibita per fare la calce

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La capanna consiste di un edificio a un solo piano, costruita con sassi della zona murati a secco

 

 

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Casa alpe nelle Apuane

 

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Levigliani sotto la neve

Le  “capanne”, erano funzionali per attività stagionali prevalentemente pastorali, con l’area intorno alle abitazioni destinata all’allevamento, e la presenza di piccoli orti posti nelle immediate vicinanze degli edifici; se ne possono trovare esempi nelle Capanne di Giovo, o  nei Capannelli del Sagro. 

Il secondo tipo di insediamento era costituito da abitazioni a due piani, in muratura e talvolta articolate in più vani, dette “caselli”, “casette” o “case dell’alpe”. Si svolgeva qui un insieme complesso ed integrato di attività agro-silvo-pastorali che, al “governo delle bestie minute e grosse”, alternava coltivazioni estese a grano, granturco, segale o patate, oltre il taglio del fieno e della legna (Puntato, Campanice, Betigna, ecc.).  

Nel primo caso, l’insediamento era quello del pastore seminomade, che si recava sui monti nella tarda primavera e nel primo autunno tornava a valle, verso le pianure incolte della Val di Magra, del fondovalle del Serchio e delle “maremme” pisane, lucchesi e versiliesi. 

Nel secondo il caso siamo invece di fronte ad un agricoltore-allevatore, tendenzialmente stanziale, che limitava i suoi spostamenti tra “due villaggi”: l’uno, permanente-accentrato, allocato a quote inferiori e l’altro, temporaneo-sparso, posto più in alto. Nell’estate si aveva qui un intenso movimento di uomini e bestie lungo mulattiere e sentieri che collegavano il vero centro abitato con l’alpeggio, per un dislivello compreso tra i 300 e i 500 m d’altitudine, in accordo con le dimensioni ridotte di questo ambiente alpino.

Il modello apuano proponeva anche situazioni ibride, come a Campocatino, i cui “caselli”, molto più accentrati che altrove, erano a servizio di pastori seminomadi, divenuti soprattutto agricoltori.

La fascia altimetrica tipica di distribuzione varia dagli 800 ai 1300 m e si realizza spesso in corrispondenza di modesti pianori formatisi ad opera dell’esarazione glaciale oppure al di sopra di paleosuperfici prewürmiane. Nel primo caso - più diffuso - il substrato è costituito da depositi morenici, talvolta modellati nella forma di cordoni (Campocatino, Puntato, Sagro).

Oggi, finita l’età dell’alpicoltura, ne rimane ancora traccia evidente e leggibile nel paesaggio naturale e agrario residuo. I pascoli, in via di abbandono anche da parte dei pastori stanziali, stanno evolvendo in praterie secondarie a paléo (Brachypodium genuense), talvolta in mosaico con arbusteti di degradazione. Gli edifici in muratura sono stati spesso oggetto di recuperi funzionali, non sempre corretti, sebbene il fenomeno della “seconda casa” per ferie (o per il fine settimana) abbia evitato la scomparsa di buona parte di questo patrimonio edilizio di valore ambientale, facendo talvolta riapparire le coltivazioni orticole. Le maggiori violenze perpetrate agli insediamenti pastorali si registrano nell’area del Pasquilio di Montignoso, con trasformazioni radicali e talvolta con la diffusione di nuove costruzioni del tutto estranee al contesto architettonico e paesaggistico originario

 La descrizione architettonica delle capanne e dei caselli è a cura dell' Architetto Raffaello Puccini, Coordinatore del Settore Uffici Tecnici del Parco Regionale delle Alpi Apuane